Seleziona una pagina

americavisto le sollecitazioni di olga.. ma lo scarso tempo a disposizione vi propongo un articolo vecchino..ma che é ancora attuale..vista l’imminente (o mica troppo) restaurazione della valascia..béh questo é quello che penso io..

HALLENSTADION : « TU VUO’ FA` L’AMERICANO »

I fast food hanno ormai travolto la nostra vita, hamburger e patatine sono ormai il pranzo di migliaia di svizzeri, ma finché rimane un peccato di gola non mi lamento. Provate però a pensare a come sarebbe una McValascia? Le conseguenze della scomparsa del nostrano Pauli-Burger a scapito dei più moderni McChicken potrebbero essere ben più gravi del semplice aumento di peso.

“Quando bionda aurora”, cominciava così no? Fortunatamente ce lo ricordiamo ancora e al richiamo della Nati il nostro spirito patriottico si risveglia e ci fa intraprendere la via del nuovo Hallenstadion per gustarci una stuzzicante amichevole. In realtà oltre all’amore per il “patrio suol” siamo stati spinti dai prezzi, che per una volta non sono alle stelle (e strisce) ma a portata di svizzero, pur sempre 20.-, ma visto che normalmente sono 33 il risparmio è assicurato. Lussuoso, bello esteticamente, nessun posto in piedi, tutti seduti, comodi, come sulla poltrona di casa propria, peccato che non è un cinema, ma un Eishalle, dove se non sbaglio si gioca all’hockey, ops, al disco su ghiaccio.

Le luci si spengono, inizia il film, e invece no, entrano i giocatori, con dei riflettori che girano sulla pista e le gradinate che si illuminano. Rimaniamo un po’ allibiti, ma poi qualcuno esclama“Ah però! Gli effetti dei fari sugli spalti rendono”. Nel buio mi addormento un attimo e sogno la Valascia, in un derby, quando con le braccia al cielo tenevo un pezzo di carta in mano come altri migliaia di tifosi e lo spettacolo, lì, eravamo noi. Mi risveglio, smetto di fantasticare e mi concentro sulla partita. Ingaggio di inizio, primi passaggi e il pubblico si riscalda, un Hopp Suisse viene scandito da un gruppo di tifosi, ma si spegne presto, perché il rimbombo è tale da non permettere ad un altro settore della pista di riuscire a cantare allo stesso tempo. L’acustica della sala non è fatta per il tifo, e a questo punto o esce un canone a mo’ di “vent frecc” o si smette di far casino e si sta zitti. Optiamo per la seconda, perché far cantare “vent frecc” a migliaia di tedeschi sarebbe un’impresa troppo ardua.

Il nostro silenzio è interrotto ad ogni fischio dell’arbitro da una dolce musica, che dovrebbe intrattenerci per i pochi secondi di pausa tra l’interruzione del gioco e l’ingaggio. Dopo il senso della vista cercano di accontentare anche l’udito con dei jingles che neanche il peggior dj del Ticino riuscirebbe a programmare. La domanda che sorge spontanea è se queste assurde canzoncine sono il risultato di una mente umana o di un computer Hi-Tech. Le nostre orecchie sono fortemente sollecitate e non riescono più a sopportare tali giochi di improvvisazione, e un tale tono metallico, ma purtroppo non si può abbassare il volume, e se si vuole vedere la partita bisogna soffrire.
All’inizio del secondo tempo il nostro stato di sopportazione è giunto all’apice, purtroppo non siamo “no limits” e quindi siamo allo stremo, tanto che qualcuno comincia ad insinuare di voler andarsene, perché era venuto per vedere una partita di hockey. Fortunatamente decidono di svelarci il mistero e capiamo che la fonte del nostro problema è un uomo, che con un organetto ci ha fatto impazzire per tutto il primo tempo. Il malcapitato viene riempito di fischi, e dopo questa umiliazione decide che il suo spazio nello show è terminato. Noi ritorniamo a goderci la partita incuranti delle conseguenze del nostro gesto di disdegno. Il giorno dopo, un musicista di talento si ritrova senza lavoro. Un USA e getta insomma.

Ma “the show must go on” e allora continuiamo. Finalmente ci gustiamo la partita in tutta tranquillità, e al fischio finale lasciamo il palazzetto dello sport con un velo di delusione, non dovuto al risultato, visto che un 2 a 1 dal team Canada può anche starci e in fondo ha segnato Domenichelli, ma con una strana voglia di… un Pauli Burger. Il clima americano ci ha fatto ricordare gli hamburger e la golosità ha preso il sopravvento, ma il nostro palato ha voglia di qualcosa di nostrano, di unico e speciale, non del solito BigMac.

Siamo tristi, se il futuro del disco su ghiaccio svizzero fosse questo? Se le nostre piste, steb by step, diventeranno sale dove non c’è atmosfera, dove sembra di essere in un cinema, dove tutto è volto allo spettacolo ma non alle emozioni che degli uomini normali che giocano ad hockey possono darti? Niente più fondue o cervelats ma hamburger e patatine. Niente più tifo, fischi, cori e striscioni. Cosa faremo se non avremo nessuna possibilità di cambiar posto, ma ognuno avrà il suo seggiolino, se non ci sarà più il Güs, sostituito dal McNuts, e il Pauli Burger scomparirà lasciando il posto ai suoi successori?

Speriamo non si segua questo esempio, perché caro Hallenstadion, “tu vuo’ fà l’americano, ma sei nato in Svizzerà”.